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Fin dall'antichità i profughi sono stati una conseguenza di guerre, cambiamenti climatici o il frutto di precise scelte geopolitiche, come il popolamento e la coltivazione di territori strategici poco abitati. Nell'età moderna si sono venute ad aggiungere altre cause, come le persecuzioni di matrice religiosa, politica o sociale. L'età contemporanea si è poi caratterizzata per le espulsioni di gruppi non rispondenti al criterio di nazionalità dello Stato di residenza. Ogni epoca ha visto progressivamente aumentare i repertori delle motivazioni all'origine del profugato. Con il Novecento l'esperienza dei profughi si è legata a un fenomeno radicalmente nuovo: l'estendersi su scala globale del controllo delle frontiere e di politiche restrittive di ingresso nei territori statali. In questo nuovo contesto si è imposto il credo umanitario dell'intervento internazionale in favore dei profughi. Senza politiche migratorie restrittive non ci sarebbe stato bisogno di strumenti culturali e giuridici per distinguere con precisione chi poteva essere definito rifugiato e chi no. Lo Stato, la sfera della cittadinanza e del welfare sono diventati elementi centrali nell'esperienza dei profughi, la cui vita è decisamente condizionata dalle pratiche di accoglienza adottate dalle società e dalle istituzioni. I singoli e i gruppi familiari in fuga devono fare i conti in primo luogo con il complesso panorama istituzionale in cui sono ora inseriti. Un'analisi dei sistemi di accoglienza dal Novecento al tempo presente non può fare a meno di interrogare il ruolo delle istituzioni pubbliche. Riconoscere il ruolo dello Stato vuol dire innanzitutto mettere in questione la macchina amministrativa e i suoi input politici, interrogarla per affinare gli strumenti con cui solitamente si guarda alle istituzioni, estendere le analisi anche ai soggetti locali e a quelli sovranazionali.